FRANCO NON CE NE VOGLIA
SE FACCIAMO ANCHE NOSTRI QUESTI SUOI AUGURI
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Non siete felici.
Dai, ammettetelo, non lo siete.
Anche se per sembrare famiglie vi rinchiudete dentro le vostre scatole di latta da cinquantamila euri che finirete di pagare nel duemilaeventi, e con quell’aria imbronciata di chi non c’ha la minima voglia, vi andate a rinchiudere in uno di quei centri commerciali sparsi un po’ ovunque dove d’estate fa fresco e d’inverno fa calduccio.
E non importa se per arrivarci vi fate quella mezzora di coda sulla superstrada insieme ad altre centinaia di famiglie non felici come voi, rinchiuse in scatole di latta come la vostra, ansiose come voi di arrivare nella moderna piazza dove tutte le famiglie si assembrano e si perdono, calda d’inverno, fresca d’estate.
Poi consumate la vostra personale battaglia a chi trova prima il parcheggio, nei sotterranei freddi di quella moderna piazza che gioca con le vostre esistenze e con il vostro portafoglio pochi metri sopra le vostre teste.
E finalmente entrate nel magico mondo di compratutto, come novelli bambini eccitati la mattina di natale, ansiosi di scartare i pacchi sotto l’albero, irrequieti di fronte al nuovo gioco.
E cominciate a girare come ossessi a riempire i vostri occhi e i vostri carrelli delle cose colorate, luminescenti, brillanti e tecnologicamente all’avanguardia che da qualche anno a questa parte hanno preso il posto dei sentimenti nella vostra misera e svuotata esistenza. Dopo cinque minuti non vi ricorderete più nemmeno che cosa avete acquistato, dopo qualche giorno la noia avrà avuto il sopravvento e dovrete tornare nel magico mondo di compratutto per alimentare quel verme solitario che vi sta devastando con nuovi mirabolanti straordinari orpelli.
Non sapete più godere di un sorriso.
Non sapete più essere gentili.
Non sapete più regalare un emozione, chè con la carta di credito non la si può acquistare.
E’ Natale, ma non sapete più che cos’è un dono.
Della notte di Natale da bambino ricordo più di ogni altra cosa l’attesa. Il gusto dell’aspettare che albeggiasse, che papà e mamma si svegliassero per potere andare insieme ai piedi dell’albero e rimanere stupito, felice ed eccitato di fronte ai regali che aspettavano di essere aperti.
Della mattina di Natale ricordo precisamente un senso di tristezza da cui venivo colto appena passata la buriana dell’apertura dei pacchetti, quando in me si faceva spazio un pensiero rivolto alla mia felicità di quel momento e all’infelicità di chi in quel momento era più sfortunato di me. Il senso di impotenza nel permettere ad altri di godere della stessa grazia di cui in quel momento stavo godendo io mi ha colto per tanti anni, sempre nello stesso modo. E mi ha salvato, credo. Perchè forse ha fatto di me un uomo migliore, perchè mi ha permesso di cogliere nelle cose il concetto della fatica, del sacrificio, della fortuna. Perchè ha permesso al mio cuore di non diventare freddo e insensibile.
Bisogna che impariamo di nuovo a regalare emozioni.
C’è bisogno di non avere più paura di piangere.
C’è bisogno di non avere più paura di ridere.
C’è bisogno di non avere più paura di dire ti voglio bene.
C’è bisogno di fermarsi un attimo, guardare negli occhi delle persone che amiamo, e finalmente ricominciare a comunicare.
Buon Natale.
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