A SEGRATE
Pochi sanno che l'Arpa Lombardia ha deciso di togliere (dal 1 febbraio) la qualifica di polizia giudiziaria ai suoi tecnici.
Che non potranno più effettuare sequestri e parlare con i magistrati nel caso becchino una acciaieria che butta fuori diossine, un inquinamento di una roggia.
Dovranno limitarsi a fare rapporto di quello che non va e dirlo al loro capo dipartimento.
Diventeranno innocui passacarte. Il loro capo deciderà in tutta libertà se parlare con la Procura, o effettuare altre "verifiche". Perché questo assurdo filtro? La risposta credo sia intuibile. Non è per caso l'ennesima museruola decisa dalla politica degli uomini di Formigoni su richiesta di certa imprenditoria? Il messaggio è chiaro: evitare che un funzionario di provincia, un tecnico con la schiena dritta (davvero rari) possa direttamente far sapere alla magistratura che una grande industria (che ben foraggia certa politica) inquina, che una bonifica dove si devono realizzare case e centri commerciali non è stata fatta a dovere. L'imperativo è chiaro: non rompere le scatole al mondo imprenditoriale.
Rischia davvero di essere il colpo mortale per l'Arpa, che ormai da anni (da quando è stato assessore regionale all'Ambiente Franco Nicoli Cristiani, molto amico degli imprenditori, meno dell'ambiente) sente il fiato sul collo della politica. Ne è dimostrazione il cambio forsennato di dirigenti che ci sono stati (a Brescia in primis) negli ultimi due anni. E a Brescia non dobbiamo dimenticare l'arresto di un dipendente compiacente che taroccava controlli (in cambio di dindini), e le diverse interrogazioni parlamentari (e regionali) susseguitesi gli anni scorsi in merito alla reale efficacia dei controlli fatti sulle principali fonti di inquinamento.Una deriva, quella di Arpa, sentita anche dalla pancia del popolo. Se andate in uno dei tanti paesi con problemi di inquinamento e chiedete cosa pensino di Arpa, otterrete risposte di disarmante banalità mista a verità: "Quelli i controlli li fanno solo ai pesci piccoli, non toccano i cani grossi".
facciamo seguire l'articolo apparso su Repubblica il 10 gennaio. Se qualcuno avesse ancora dubbi.
COSA succede se i controllori dell'ambiente non hanno più l'obbligo di riferire alla magistratura di un reato ambientale, ma soltanto il dovere di relazionarne alloro superiore gerarchico, dinomina politica? Mala tempora currunt, in Lombardia, per le fragili sorti di aria, acqua, suoli e per la possibilità che chi inquina paghi: per i reati di cui si è reso responsabile e per i danni che ha perpetrato. Dal primo gennaio l'Arpa - ovvero l'Agenzia regionale per l'ambiente - ha un nuovo direttore generale. Franco Olivieri ha preso il posto di Giuseppe Sgorbati, trasferito al coordinamento dei dipartimenti provinciali di Arpa. L'avvicendamento fra funzionari si accompagna a un'altra novità: d'ora in poi i tecnici dell'agenzia - cui compete il delicatissimo compito dei controlli ambientali - non svolgeranno più funzioni di polizia giudiziaria. UNICA eccezione i tecnici nominati dalla Procura dopo il sequestro dell'ex discarica di via Calchi Taeggi. Ma per il semplice motivo che il Pirellone non può revocare una decisione dei magistrati. Cosa comporti questa decisione è presto detto. Finora i dipendenti dell'Arpa impegnati nelle analisi di un terreno potenzialmente inquinato, o delle acque di un fiume, di una roggia, di una falda freatica, o dei fumi prodotti da un camino industriale erano tenuti, in presenza di contaminazioni accertate e violazioni normative, ad informare la magistratura, a sua volta tenuta per legge ad aprire un'indagine in presenza di una notizia di reato, come prescrive l'obbligo dell'azione penale ancora in vigore in questo paese. Grazie alla «riorganizzazione» dell'Arpa voluta dalla Regione ora quest'obbligo non c'è più. I dipendenti Arpa in presenza di reati ambientali perseguibili penalmente sono soltanto tenuti a riferirne al capoufficio che a sua volta riferirà al capo dipartimento che a sua volta riferirà al direttore generale. Soltanto il vertice dell'agenzia sarà deputato a valutare l'importanza dei casi e l'eventuale coinvolgimento della Procura competente per territorio. E non è davvero troppo fantasioso ipotizzare che in questa sequenza di capi e capetti, in presenza di casi gravi e scottanti - magari qualche maxibonifica da centinaia di milioni - qualcuno provvederà a consultarsi con il livello politico di riferimento, prima di informare la Procura. Questa «centralizzazione» burocratica dei controlli non ha una ragione funzionale. Se per funzionalità s'intende la capacità di Arpa di esercitare con efficacia i controlli, scovare abusi e reati e perseguire i colpevoli. Piuttosto risponde alla logica di controllare i controllori. Perché non esagerino con lo zelo, perché non si facciano trascinare dall'idea di essere delle specie di Robin Hood dell' ambiente. O peggio, il braccio ambientale della magistratura. Il blitz del Pirellone appare in tutta la sua gravità se si scorre la cronaca degli ultimi mesi:dalla mega truffa della finta bonifica della Sisas di Pioltello e di Santa Giulia, con il «re» delle bonifiche Giuseppe Grossi sotto processo e il coinvolgimento di Rosanna Gariboldi, moglie del parlamentare Pdl Giancarlo Abelli; il sequestro dell' area dell' ex disc ari . ca Calchi Taeggi con relativo blocco del progetto edilizio da migliaia di appartamenti; il sospetto di contaminazione da amianto dei terreni ex Om, su cui è stato realizzato un nuovo quartiere residenziale. Ora scoprire veleni, bonifiche annunciate e mai fatte, truffe e malversazioni diverrà maledettamente più difficile. Ed è triste constatare che anche i sindacati, in questa vicenda, abbiano dato il peggio. Perché i dipendenti Arpa non svolgeranno più funzioni di polizia giudiziaria, ma manterranno i circa cento euro mensili di indennità aggiuntiva che percepivano. Come ha concordato il sindacato, che sul resto ha deciso di non spendere una parola.
fonte bresciapoint
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